top of page
Immagine del redattoreKatia Cazzolaro

Il personale è politico: lo sguardo lungo della famiglia Cecchettin

Aggiornamento: 8 dic 2023




"Non ci sono soluzioni personali in questo momento. C'è solo un'azione collettiva per una soluzione collettiva" (Carol Hanish)



Nel 1970, Carol Hanish utilizzò la frase sopra riportata in un testo pubblicato su “Notes from the Second Year: Women’s Liberation”  mentre il femminismo della seconda ondata era in pieno fermento.

Anche il motto "il personale è politico" viene attribuita a Carol Hanish: eravamo negli anni '70 e le donne avevano preso coscienza della radice socio-culturale del dominio maschile.


Già nel 1953 la femminista Betty Friedan, ne “La mistica della femminilità” sottolineava che i cosidetti problemi personali delle donne (solitudine, frustrazione per i ruoli di moglie, madre, casalinga, violenze, subalternità all'uomo, malesseri fisici e malattie), andavano cercati nella posizione che le donne occupavano nella società, non nella loro "persona".


Ogni storia di violenza contro le donne ha a che fare con la vicenda biografica ma la sua radice è culturale. E anche i femminismi di oggi insistono sulla condivisione delle esperienze e dei soprusi subiti dalle donne e dalle minoranze. Come accadeva nei gruppi di autocoscienza degli anni 60 e 70, anche oggi mettere in comune la propria esperienza, sentirla validata da altre donne, fa sentire che non si è sole.


Occorre cioè, oggi come allora, riportare il personale su un piano politico e rendere il politico uno strumento per cambiare il personale, ovvero la maniera in cui dovremmo vivere.


Il personale è politico:


La prima dichiarazione pubblica di Elena Cecchettin dopo l'uccisione della sorella, ha segnato un solco profondo tra un prima e un dopo: le sue sono state parole chiare e inequivocabili nell'individuare nel patriarcato la responsabilità della violenza sulle donne. Ma non si è trattato di una dichiarazione isolata; la famiglia di Giulia sta definitivamente allargando il solco dell'opacità e dei troppi fuori fuoco con cui vengono letti, anche dalla politica, i femminicidi nel nostro Paese.


E' stato proprio Gino Cecchettin , uomo e non solo padre, a ribadire con forza quel termine "patriarcato" che in pochi giorni ha fatto rabbrividire molti, dai politici, ai giornalisti, fino alla società civile. Come uomo non ha esitato ad affermare in più occasioni che negare il patriarcato è un segno di viltà non più accettabile e che il cambiamento culturale deve partire dagli uomini.


Quanta paura fa? Un conto è se a dirlo sono le donne che scendono in piazza, un altro è se lo dice la famiglia, cellula e motore della società patriarcale.


Si sono spese molte parole sul perchè la vicenda di Giulia Cecchettin sia diventata un fatto collettivo: sociologi, politici, criminologi, psicoterapeuti e psichiatri hanno condiviso sui media il proprio sguardo. Tra le molteplici letture, non compare o affiora solo tiepidamente l'accezione pubblica e politica del dolore personale quando diventa rumore e disturbo per le coscienze. L'informazione mainstream si è guardata bene dal sottolineare, se non per demonizzarla, la postura politica della famiglia Cecchettin, ovvero il suo collocarsi in continuità con la lotta femminista e in generale con la coscienza di tutte le donne ( e di quei pochi uomini) politicamente consapevoli della radice patriarcale del dominio maschile. D'altra parte, i media che lo hanno sottolineato, si sono scoperti improvvisamente femministi.

E' pure sotto gli occhi di tutti come un'orgia di informazioni morbose siano state messe al servizio della pancia della gente per sollecitare una improvvisa quanto improbabile comunione di intenti contro la violenza maschile.


Eppure. Eppure d'ora in poi ci troveremo in compagnia di un uomo che parla pubblicamente delle fragilità e dell'ossessione per il possesso delle donne da parte dei maschi, anche attraverso le ripetute sollecitazioni alla gentilezza: "siate gentili, uomini, moltiplicate i gesti di tenerezza". E in controluce, nel suo invito alla tenerezza e nei molti richiami a partire da sè, si coglie l'accettazione della propria vulnerabilità di uomo, che è ancora un tabù per la maggior parte dei maschi educati al mito della virilità (ne ho scritto anche qui).


E poi la tenerezza per la figlia che non c'è più, richiamta come una stella che guiderà il cammino della famiglia che resta.


Dice Massimo Recalcati in La luce delle stelle morte sul rapporto con l’esperienza traumatica della perdita: cosa accade dentro di noi quando perdiamo chi abbiamo profondamente amato? Quale vuoto si spalanca? come attraversare il lutto senza farci inghiottire dal dolore? Lo psicanalista parla di nostalgia-gratitudine:

"Mentre il nostro tempo esalta il futuro, il progetto, l’intraprendenza, il lutto e la nostalgia ci ricordano che lo sguardo rivolto all’indietro non è sempre segno di impotenza, ma può anche alimentare le risorse che servono per essere davvero capaci di non smettere mai di nascere."


(...) "E' come quando vediamo la luce delle stelle brillare nel buio della notte senza pensare che sia generata da un oggetto già morto. (...) È la nostalgia- gratitudine che ci ricorda quello che non è più tra noi ma che, anziché diventare oggetto di un rimpianto regressivo, risplende come una visitazione inattesa"


Sembra davvero il senso di ciò che Gino Cecchettin ha detto pensando alla sua stella Giulia.


E' questa la luce che può riscaldarci e riempirci di nostalgia, non come ripiegamento o rabbia ma come segno e speranza della nostra presenza fertile nel mondo.

Chi è molto ferito, può essere capace di una cura straordinaria. Nonostante tutto.



Ph credits: Associazione Il Cerchio degli Uomini


 

153 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Comentarios


Post: Blog2_Post
bottom of page