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Immagine del redattoreKatia Cazzolaro

Tanta strada da fare per il lavoro di cura ( e per le sorti dell3 educator3 professional3)


Questa educatrice ha sfilato in corteo l'8 marzo a Varese. Spendete qualche secondo per leggere cosa ha scritto sul cartello che indossa. Chi non è del mestire magari non sa che la professione educativa è quella peggio retribuita tra chi è laureato ( bisognerebbe dire laureata, dato che è un lavoro in prevalenza scelto da donne, in linea col mandato culturale che stabilisce che, della cura, se ne debbano occupare prevalentemente le donne).


Ho ricordi dolorosi di quando facevo l'educatrice e oggi mi domando spesso chi me lo abbia fatto fare. Per questo sono diventata insofferente alla maggior parte della formazione per educatorə: perché vende illusioni sulla ermeneutica pedagogica che, nelle organizzazioni (scuole, comunità etc), dovrebbe dialogare con gli altri sguardi formativi (psicologia, sociologia, filosofia, economia, didattica etc). Balle.

Nelle organizzazioni, la vita professionale si annichilisce dentro gli altri paradigmi vincenti che della cura dei processi formativi se ne fanno un baffo ( uno su tutti, il management aziendalistico). E no, non dipende da come fai l' educatore o da quanto sei capace di gestire il moltiplicarsi dei settings, dipende dalla gabbia neoliberista che ha stabilito che chi si occupa degli ultimi debba essere egli stesso ultimo.


Per quanto riguarda i soldoni, anzi i soldini, stiamo parlando di contratti (persino peggiorati da quando lavoravo nel settore) che alienano la dignità lavorativa fino allo sfinimento, nonchè di una retribuzione al netto che si aggira sui 7 euro virgola tot centesimi l'ora, ben al di sotto del salario minimo garantito di cui si parla tanto in Europa, in Italia no.


Scrive questa donna, per l'8 Marzo: " voglio arrivare a fine mese senza dipendere dal miə compagnə".


Più di tanti discorsi, anche sindacalizzati, le sue parole racchiudono tutta la tragica parabola discendente del lavoro di cura, delle donne in particolare e della cura in generale, proprio come paradigma politico che dovrebbe sovvertire i rapporti di forza e di potere a favore di chi, per un periodo o per sempre, si trova in una condizione di fragilità


Ecco dove si infrange il diritto all'autonomia di una donna lavoratrice: sul diritto alla cura, verso gli altri ma anche verso sé stessa.


Non so come si chiami questa donna ma ha tutta la mia stima



Grazie Michela Prando per la foto.

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