Allora ripetete con me: la menopausa è quella cosa che puoi ingrassare tre Kili in 15 giorni, che non ti fa dormire (e il giorno dopo devi essere prestante), che scatena dolori articolari, sudorazioni imbarazzanti, è quel terreno infuocato in cui la psiche (nella nostra cultura) tentenna e gli ormoni ti fanno ciaone mentre tu diventi fisicamente sempre più vulnerabile.
Dunque È LEI l'aliena che trasforma le donne in corpi posseduti da satana (lo giuriamo), e di ESSA (pronunciatelo con una sensazione di fastidio), si parla più come malattia e incubatore di disagio che come transizione psico-fisica cui andrebbe prestata la massima cura d'anima.
Non si dice, nella vulgata, dello stigma che la menopausa getta sulle donne, frutto di una cultura patriarcale che fa coincidere la fine della fertilità e dell'avvenenza con la fine della desiderabilità, per cui a "seduzione" viene sostituito "rottamazione".
Le difficoltà che incontriamo, e sono tante, vengono liquidate mediante la sua naturalizzazione: dire menopausa equivale a dire "devi sopportare". Niente di nuovo sotto il sole: mestruazioni, parto, menopausa, devi sopportare, sei donna, ti tocca.
La menopausa è un salto quantico, altro che missione nello spazio (si cita lo spazio per citare esperienze mirabolanti).
E però mi pare che noi donne, come sempre, un po' col patriarcato colludiamo; medicalizzandola eccessivamente, patologicizzando il nostro sentire e i nostri umori (più che legittimi) o facendo come se il fenomeno non esistesse, un meccanismo quest'ultimo poco funzionale alla connessione emotiva con noi stesse e con gli altri.
Nominiamola allora, come transizione problematica eppure feconda di un presente e un avvenire possibili, certo complessi ma sfrontatamente godibili.
Se nominassimo ( io per prima) ciò che ci capita come donne con la stessa frequenza con cui nominiamo ciò che ci capita come madri, saremmo libere. Il patriarcato ha creato l'ossessione per la maternità come meccanismo di dominio e di controllo e noi, a dire il vero, ci siamo affezionate al carnefice.
Nominiamola, ognuno per come la vive, evidentemente in maniera diversa, dato che niente esiste se non ha un nome.
Il nostro.
Quando grandi cambiamenti ci travolgono, entriamo in modalità "emergenza" e ci muoviamo governati dall'ansia di riprendere il controllo.
Solitamente è un ritmo veloce, con poco respiro, quello indotto dalla produzione di cortisolo, l'ormone dello stress.
Fermarci a ri-prendere tempo, crearne uno nuovo e diverso accompagnate dal cambiamento, può essere utile per meglio entrare in contatto coi nostri nuovi, vitali bisogni, i nostri prorompenti e poco frequentati desideri.
Succede sovente anche in consulenza: quando l3 consulente crea un tempo per le pause, l3 consultat3 può rivedere anche i propri ruoli, criticamente, spudoratamente, importando innanzitutto una ventata di libertà e, nondimeno, una apprezzabile leggerezza che scioglie le incrostazioni che imprigionano le emozioni e i nostri bisogni più profondi. Siamo portat3 a credere che le emozioni siano "naturali", mentre sono un portato chimico che deriva dalle esperienze passate e da ciò che ci hanno insegnato a vivere (e come viverlo).
L'avventura della creazione non può mai arrivare da fuori, è una questione personale e il personale, si sa, è fatto pubblico, politico, perchè crea una visione di mondo.
ll portato da rottamare, pare evidente, non siamo noi donne.
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