I miei familiar3 mi prendono in giro quando trovo una cimice in casa, la prendo tra le mani e la accompagno fuori dall'uscio augurandole buona vita. Il suo ruolo nefasto, nell'economia nutrizionale di noi umani, è quello di arrecare danno alle piante, mentre nell' economia della natura è di essere cibo per gli uccelli e scacciare altri insetti, quindi contribuire alla catena alimentare e ad una agricoltura più bio. Ma toccare una cimice, si sa, è considerato da molti disgustoso, non che io capisca bene il perché, come se noi umani non puzzassimo spesso e volentieri.
Ad ogni modo, vivere sol3 ha i suoi vantaggi, nessuno ti rompe le scatole quando devi fare il funerale ad una cimice, quando parli coi gatti o dormi col cane.
Avete mai osservato una cimice morta?
Il caso vuole (di sorprendenti sincronicità è fatta la vita) che qualche tempo fa mi soffermassi a guardare una cimice trapassata sul pavimento di casa proprio qualche istante prima che una amica mi consigliasse di guardare Departures, film giapponese del 2008. È la storia di un tanatoesteta - nokanshi in giapponese -figura deputata a truccare e comporre i defunti, il quale, attraverso una immersione estetica nella morte, trova il modo di riconciliarsi con la vita.
L’impaccio iniziale che questo lavoro trovato per sbaglio impone al protagonista, si trasforma via via movimento, fluidità, connessione, stupore, dedizione.
In questi passaggi sta la parte meritevole del film: parlare all’occidente di un rito che dona a chi resta il tempo necessario per familiarizzare col commiato, per buttare fuori il dolore in un luogo dedicato, per dire la rabbia, i risentimenti e tutto ciò che non era stato sistemato prima della morte, mentre viene dato risalto ai tratti del viso composti, truccati e bellissimi di chi ci ha lasciato. Una bellezza travolgente.
Nel film sono presenti anche passaggi grotteschi a alcuni simbolismi scontati ma vabbè.
Orbene la cimice. Quell’esserino puzzoso e disprezzato da noi umani muore così: nella compostezza e nella cura. Ritrae le sue zampine e le depone sul petto in un disegno perfetto, bascula per qualche secondo sul suo guscio e poi passa a miglior vita, là dove gli odori sono, probabilmente, la manifestazione di una legittima difesa e non l'incarnazione delle ossessioni igieniche degli umani.
D’altra parte le trasmutazioni non sono mai indolori e con l’odore della fatica, se non con quello degli insettini puzzolenti, hanno sempre a che fare.
La trasmutazione attraverso la putrefazione (nigredo) dello zolfo e del mercurio con la quale gli alchimisti producevano l’oro (albedo) - che per Jung è simbolo dell’avvenuto processo di individuazione dell’umano - non doveva certo avere un buon odorino, a dimostrazione che non basta farsi un lifting per consacrare un cambio di stato e i filosofi medievali così come i tanatoesteti orientali lo sapevano bene.
Ho detto lifting? Ho detto lifting. Perché va bene la grazia, va bene la cimice, va bene anche il Giappone ma io francamente, un ritocchino estetico in questo periodo della vita me lo farei anche da viva.
Al momento, non sono interessata a fare pace col corpo che invecchia e col progressivo decadimento della salute: al momento mi va bene tenere aperte le contraddizioni e aprirmi a nuove interrogazioni. La pacificazione col tempo, nella sua dimensione corporea, mi sembra non meno dannosa della narrazione sua nemica: la lotta disperata contro il declino del corpo e il tempo come nemico.
I nuovi compagni di vita tuttavia sono ingombranti e segnano il passo di ciò che è finito per sempre, il commiato è doloroso e io non sono certo una galla a congedare ciò che non potrò essere mai più. Diciamo che l'abilismo (in senso lato) per me è una dimensione da combattere piu che da inseguire.
Al posto delle possibilità, ( se non lo faccio oggi, lo farò domani), subentrano disabilità progressive, al posto di uno stato di salute legato fisiologicamente alla fertilità, gli ormoni vanno in pensione mentre il cortisolo aumenta, con conseguenze pesanti per me che sono donna, e poi insonnia, minor rendimento su tutti i fronti e una ingombrante trasformazione del rapporto col tempo, inesorabilmente accompagnato dall’aggettivo “poco”. Pochezza su tutti i fronti insomma: pochezza di grasso, pochezza di muscoli, pochezza di sonno, pochezza di tempo e, ovviamente, pochezza di interesse maschile dato che ad una certa età diventiamo invisibili. Del resto, questa storia di essere manchevoli nella pochezza è storia antica per noi donne: nel corso dei secoli, siamo sempre state definite come mancanza rispetto all'uomo il quale, per ogni cosa che perde nella sua vicenda biografica, ne guadagna almeno due.
Così, dopo i 5O anni, 54 i miei, una donna diventa ciò che il capitalismo vuole che diventi, un soggetto che necessita di una serie di protesi a sostegno della nuova postura avvizzita: farmaci, integratori, creme pseudo miracolose e massaggi, screen di prevenzione oncologica come piovesse, e poi mutandoni ma sì portiamoci avanti, anche se non soffri di incontinenza urinaria l'incontinenza ti spetta di diritto.
Medicalizzare la narrazione sulla donna matura che vive un'età della vita ancora generativamente significativa, serve a vendere e a fare profitto. Il mortifero, il depressivo, sono grandi ingaggi per il capitale.
Non parliamo poi del fatto che, se oltre ai bicipiti devi allenare il pavimento pelvico, è meglio farlo in segreto, che la zona è troppo contigua al sesso.
La pornografia, dicono, ci rappresenti meglio: già a meno di 40anni una donna è una milf (madre che ho voglia di scopare) o, più avanti nell'età, una cougar (donne mature dalla sessualità predatoria e aggressiva che si rivolgono a uomini molto più giovani) : l'una l'inverso dell'altra, guarda un pò, a dimostrazione di quanto al capitale e alla pornografia (ma bisognerebbe dire allo sguardo pornografico, assai più diffuso perchè appannaggio di molt3) piacciano le semplificazioni e le banalizzazioni.
Il mio corpo mi precede sin da ragazzina ed è così per tutte le donne: prima siamo guardate nel corpo col quale dobbiamo peraltro entrare in competizione con le altre donne, poi, forse ma raramente accade, per ciò che siamo nell' interezza, per le nostre capacità, le nostre invenzioni.
Non è proprio tempo di pacificazione se vogliamo che lo spazio da occupare nel mondo non sia quello del modello di un corpo a disposizione degli uomini e del capitale bensì quello della generatività, della creazione, della fantasia, del coraggio, delle depressioni cosmiche, del rimettersi in piedi, delle incazzature solenni e dei non ci sto. Della sensualità e dell'avvenenza se ci interessa, altrimenti no.
Non c'è età per ri-definirsi nel cambiamento, a patto che quel cambiamento lo decidiamo noi.
Nel femminismo si parla a partire da sè e nessuna può parlare al posto di un’altra. Si può parlare delle relazioni che abbiamo con altre donne e del pensiero che nasce in queste relazioni perchè quel che guadagniamo è un guadagno per tutti, donne e uomini e generi tutt3.
Certo noi donne siamo abituate a sentirci connesse con le trasformazione del nostro corpo, perchè sono anche sempre trasformazioni psicologiche ed emotive, siamo abituate a tenere insieme ormoni in movimento ed equilibrio mentale, siamo allenate. Allenamento significa anche far fuori gli stereotipi che ci inchiodano agli sbalzi ormonali, utili a deriderci per tutta la vita, dalle mestruazioni alle vampate. Siamo abituate a fare i conti con un universo maschile che non conosce e non è interessato a conoscere queste iper-connessioni così densamente abitate dall'intreccio corpo-mente- emozioni.
Ma siamo anche abituate a diventare solo corpo e solo natura (donna-madre-fertile-menopausa - vecchia), quindi a lasciarci definire da stereotipi e convenzioni sociali, a farci carne da macello a servizio di uno sguardo predatorio inventato per castrarci.
La cimice, nella sua compostezza da reietta che muore nel più sublime sberleffo estetico, con quelle zampette disegnate in silenzio, mi insegna che bisogna portare grazia in ogni cambiamento, e grazia non vuol dire quiete, vuol dire presenza, con-tatto con ogni sussulto che sento. Il Tanatoesteta mi parla della necessità di allenarmi alla morte e di onorare la vita senza perdere tempo perchè, santo dio, nel lasciare andare, conosco la fatica che sto facendo.
Auspico che ognuna di noi possa dare voce allo scarto che noi donne vogliamo portare nel mondo, all'eccedenza generativa, soprattutto in tempi social dove accanto a una splendida generazione di giovani donne che sa cosa vuole, è anche facile brandizzare contenuti pseudofemminsti per acchiappare like, ricadendo in nella trappola neoliberista e diventando oggetti che vendono un brand "femminista".
Io non farò in tempo a vedere la realizzazione compiuta del desiderio delle donne oltre il patriarcato e vivrò ancora a lungo nel regime dello specchio come diceva Luce Irigaray in cui la donna è come la vuole l’uomo, e non può essere altro perchè altro l’uomo, purtroppo, non è capace di vederlo, perchè non può scorgere l’autonomia del desiderio femminile, perché nella donna vuole vedere solo l’immagine invertita di sé.
Però posso darmi da fare per costruire una eredità possibile per le generazioni future, in linea con la mia età, e questo sì, lo troverei generativo e imprevisto, perchè mi racconta che posso inventare, e portare questo scarto, ancora un pò di più. Per stare in contatto con la vita, bisogna fare i conti con la morte, e poco più.
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