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Immagine del redattoreKatia Cazzolaro

L'altra pandemia. Come ti senti? L'ascolto a scuola tra fatica e opportunità.


Riproponiamo anche qui alcuni dati messi a disposizione dalla Società Italiana di Pediatria. Si riferiscono all'incremento di accessi ai Pronto Soccorso di adolescent3 dall'inizio della pandemia ad oggi:

+147% gli accessi per “ideazione suicidaria” +115% per depressione +78.4% per disturbi della condotta alimentare. C’è anche un aumento dei disturbi relativi al controllo degli impulsi, problemi di autocontrollo delle emozioni e dei comportamenti che violano i diritti degli altri. Leggi i dati qui.

L3 adolescent3 sono poco abituati a considerare la sofferenza come parte della vita e questo accadeva già prima della pandemia: la nostra cultura ci insegna perlopiù come evitare la sofferenza, non come attraversarla.


L'evento pandemico, e soprattutto la privazione di luoghi di socialità, la DAD - peraltro nuovamente tornata in vigore in questi giorni- hanno ulteriormente peggiorato la situazione e i numeri parlano chiaro.

Bisogna pensare in termini multidisciplinari: psicologə, neuropsichiatrə, pedagogistə, insegnantə, educatorə, giurist3, sociolog3, filosof3, economist3, dovrebbero poter lavorare insieme per rendere materialmente possibile il diritto alla cittadinanza e al benessere.

Invece, dopo (ma anche prima) il ricovero in pronto soccorso (dove peraltro i posti letto sono pochissimi), esiste perlopiù il vuoto.

Un vuoto di accoglienza, un vuoto di ascolto, un vuoto di implementazione politica di progetti educativi.

Ma noi come mi sentiamo?

È da giorni che stiamo girando intorno a questa domanda per parlare di affettività durante la pandemia perché crediamo che proprio questa sia la domanda centrale per noi che facciamo educazione. Come mi sento come bambinə, come adolescentə, come giovane, come adultə, come genitorə, come insegnantə, come educatorə. Come ci sentiamo noi, associazione pedagogica che punta sull'educazione, ad operare in un clima culturale in cui il benessere viene enormemente medicalizzato, soprattutto durante una pandemia.


L'educazione, che soffre del male antico di non riuscire a parlare di ciò che fa, in due anni di emergenza socio-sanitaria, si è trasformata da cenerentola a spazzacamino, ma sempre con le pulizie più che coi progetti ha a che fare. All'educazione, infatti, viene chiesto mediamente di bonificare, mentre il suo compito sarebbe innanzitutto quello di perturbare un sistema e poi di indicare orizzonti praticabili per quel sistema.


Spieghiamoci. Parliamo di scuola e parliamone in termini pratici e forse poco noti, perché a far teoria su quanto sarebbe bello fare prevenzione del disagio a scuola durante la pandemia, tra dad, presenza , tamponi vaccini e decreti governativi, quindi in sostanza tra cambiamenti continui, rischia di diventare un bel proposito se non ci caliamo nella realtà dai fatti. E noi vorremmo che i fatti fossero conosciuti da tutt3, non solo dagli specialist3, perché è di cura delle relazioni educative che si deve parlare se vogliamo davvero occuparci di benessere, possibilmente prima che si ingigantiscano i numeri che abbiamo riportato sopra.


Crediamo che anche a scuola, il come stai dovrebbe poter diventare la domanda centrale. Ogni insegnante e ogni alliev3 dovrebbe poterselo domandare ogni giorno: come mi sento, cosa mi sta capitando, cosa sto facendo fatica a fare, perché devo fare questa cosa e non un'altra? Come mi sento a cambiare continuamente "stanza" tra presenza e digitale?


Per capire perché è così difficile portare questo come ti senti- come mi sento a della scuola, dobbiamo fare un passo indietro, quando ancora la pandemia non c'era ma esistevano i ragazzin3 difficili e gli educator3 che si occupavano di loro.

Non tutti sanno che quando un educator3 entra a scuola per fare sostegno educativo a un ragazzin3, l3 vengono chieste sostanzialmente due cose. Primo: portare fuori il ragazzin3 dall'aula perché disturba. Su questo disturbo, che esiste perché è un professionista possa prendersene cura, dovrebbe giocarsi l'inclusione nella classe dell'alliev3, non la sua espulsione. Così almeno vorrebbe lo sguardo educativo che però è diverso da quello didattico, orientato verso un altro scopo: se un insegnante deve "finire il programma", hai voglia ad avere a che fare con sguardi perturbanti: anzichè curiosità, l'educazione riesce al massimo a tirar fuori qualche quintalata di ansia e di fatica nell'insegnante, legittimamente alle prese con una marcia che, ahinoi, non può permettersi soste.

Questi due ruoli così diversi sulla scena educativa restano un bel problema aperto. .

Secondo: qualora fosse coinvolta una neuropsichiatria infantile, l'educatore ha il compito di riferire ai medici l'andamento del percorso. Anche i medici riferiscono all'educatore, ma in maniera un po' diversa. Insisto spesso sulla medicalizzazione dell'educazione perché è il medico che dice all'educator3 cosa deve fare. Poi se l'educatore è molto bravo, si inventa (è il caso di dirlo), la sua autonomia. Ma non è facile, perché dovendo l'educatore tenersi il posto di lavoro, deve giocarsi il suo ruolo di autonomia anche con la cooperativa, l'organizzazione che solitamente gli dà lo stipendio, e che ha un obiettivo ancora diverso: conservare e possibilmente rinnovare l'appalto col Comune per l'intervento educativo a scuola. Quindi, pur riconoscendo all'educator3 tutte le sacrosante ragioni, l3 chiede in sostanza di non sollevare troppe grane.


Questo è il motivo per cui da anni sostengo che i soldi pubblici dedicati ai progetti educativi non finiscono in progetti educativi ma in pastrocchi ideologici nei quali gli adulti non riescono a fare gli adulti, dove per adultità intendo in questo caso portare il proprio sguardo nel rispetto di quello dell'altr3. La politica del resto è così distante dalla materialità educativa, che proprio di questi conflitti si nutre.


A occhio e croce, a partire da questo esempio del sostegno scolastico, dovremmo poter dire che il paradigma dentro il quale è finita suo malgrado l'educazione è un paradigma espulsivo, per chi la fa e per chi la riceve.

In un clima culturale di questo tipo, stiamo tutti male: insegnanti, alunni , genitori educatori.


Come associazione, ci siamo sentite interrogate del cambiamento epocale che sta portando la pandemia. Abbiamo bene in mente quali sono le risorse e limiti del nostro sguardo e che dobbiamo unire le forze e, insieme alle forze, anche gli approcci multidisciplianari ai problemi. Abbiamo implementato progetti di ascolto, li abbiamo presentati ai comuni alle scuole e abbiamo scelto il ruolo di consulent3 estern3.

Avendo bene in mente che la domanda centrale resta per noi quel come stai, come ti senti? Il resto, è tecnica pedagogica.


Su YouTube trovate il nostro progetto di sportello scolastico. Se siete insegnanti dirigenti scolastici, amministratori pubblici, sindaci, medici, pediatri, genitori, se siete interessati alla complessità e a come poterla attraversarla insieme, contattateci.



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