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AUTORITARISMI 365

La lettera agli studenti della Dott.ssa Savino, Preside del Liceo Leonardo da Vinci di Firenze, non solo dice che il fascismo non è nato dalle grandi adunate ma ai bordi dei marciapiedi ma anche contestualizza : "l'episodio si è svolto davanti a una scuola superiore". Giusto per riportarci all'importanza di un setting e all'attenzione che l'educazione deve porre per i contesti in cui prima accadono e poi si fanno accadere le cose: detto in altri termini, le parole della preside, solo per il fatto di nominarla, generano una scena educativa, l'esterno scuola, che è il teatro di un pestaggio. Ed è qui che la questione si fa interessante dal punto di vista pedagogico, perchè quel limes tra esterno e interno della scuola non è mai abbastanza interrogato dato che la scuola viene sempre più intesa e immaginata come istituzione a sè e non come dispositivo capace di generare cambiamento in quell'"esterno" (simbolico) che è la vita degli studenti.

E in effetti è esattamente così: la scuola rigurgita sempre più la sua vocazione aziendale e classista ed è sempre più avulsa dai processi che generano inclusività e pensiero critico, la gestione della pandemia lo ha dimostrato. Bisogna condannare il fascismo ( e il ministro Valditara deve dimettersi) ma nello stesso tempo stupisce lo scalpore mediatico sul pestaggio fascista perchè la scuola italiana è fortemente autoritaria, all'apparenza accogliente e per nulla inclusiva. Le derive autoritarie, base ideologica del fascismo, sono la normalità non l'eccezione "all'interno" delle mura scolastiche e per esse non si attiva nessuna mobilitazione di massa. Si potrebbe fare un lungo elenco delle occasioni perse per rendere la scuola un contesto formativo accessibile a tutti e inclusivo, fondato sui principi di democrazia e sulla condanna della violenza ma questo non è il contesto adatto. Certo è che vessazioni, esclusioni, connivenze, violenze psicologiche, discriminazioni sociali e culturali abitano strutturalmente il mondo della scuola, nell'indifferenza di tutti noi.

Trecentosessatacinque giorni l'anno, anche le domeniche, perchè anche di domenica l 'impatto emotivo e la solitudine inflitta sugli studenti dagli autoritarismi istituzionali, sui quali nessuno ha nulla da dire, mortifica il loro animo (e quello degli educatori che scappano dalla scuola), senza un orizzonte di riscatto e di giustizia. Come educatori in senso lato, siamo inclini ad indignarci e a far lievitare l'evento mediatico, molto meno a uscire dal ruolo di spettatori che guardano dalla finestra dell'indifferenza, della non consapevolezza o dell'ignavia, per immaginare, pretendere e costruire una scuola differente.



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