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  • Immagine del redattoreKatia Cazzolaro

La pedagogia nera dell'umiliazione

Insorgono intellettuali, educatori, scrittori, insegnanti, psicologi, pedagogisti e insorge l'opposizione di governo: un Ministro dell'Istruzione ( e del merito) che afferma " l'umiliazione è necessaria come fattore di crescita" non è accettabile.

Infondo, potrebbe essere un fulgido esempio di capro espiatorio: pur avendo io firmato per le dimissioni

del Ministro Giuseppe Valditara, mi domando anche dove fossimo tutti noi indignati prima di scandalizzarci di fronte alle parole del Ministro.


Viviamo di corsa, tra frammenti di informazione, cercando - spesso inconsciamente a volte intenzionalmente - lo schieramento, la polarizzazione e la semplificazione tra un botta e risposta e l'altro. Tuttavia basterebbe approfondire di poco le questioni educative, per capire che di pedagogia nera è intessuto il nostro sistema educativo. L'umiliazione esiste nelle scuole, esiste nelle comunità, esiste nelle organizzazioni educative e, ovviamente, esiste come pratica consolidata di controllo e di ricatto nei luoghi di lavoro.


Se passa il concetto che, come sostiene il Ministro, un lavoro socialmente utile per un bullo debba essere una punizione edificante, abbiamo fallito il modello di welfare che evidentemente, come le bugie, ha le gambe corte. Contribuire al bene collettivo, diventa così pura retorica autoritaria e non pratica politica della cura.


Se non lasciamo passare le parole del Ministro ma lasciamo passare nella nostra cultura e nelle nostre pratiche che, infondo, "uno schiaffone non ha mai fatto male a nessuno", significa che ancora, nel 2022, stiamo asserendo che un po' di umiliazione non guasta e questo spiegherebbe, tra l'altro, il disinteresse della collettività per le pratiche autoritarie e le violenze psicologiche che avvengono nelle scuole e nelle organizzazioni educative, nel silenzio di tutti.


Se il maltrattamento fisico è evidente ed è in grado di scatenare derive securitarie di ogni tipo, dalle telecamere nelle scuole alla gogna mediatica del maestro di turno, la violenza psicologica è subdola, sottile, incuneata sovente nel silenzio, un mutismo che blocca l'umiliato in un malessere profondo quando non riesce a tradursi in parola, soprattutto se si tratta di bambini in tenera età.


Mi è capitato, anni fa, di avere a che fare con una educatrice di Nido dalla personalità sadica che maltrattava i bambini mentre questi, non riuscendo a parlarne, somatizzavano a casa con enuresi notturne, disturbi del sonno, disturbi alimentari. Pochissimi genitori prestarono attenzione a questi segnali e nessuna educatrice volle denunciare insieme a me, si prendeva un gran bel stipendio in quella realtà non italiana ( un'altra forma di umiliazione risiede nelle retribuzioni da fame degli educatori in Italia).


Sono passati tanti anni e probabilmente si è consolidata una maggior consapevolezza relativa al maltrattamento e al trauma. Diverse educatrici allora conniventi hanno lasciato la struttura. Da educatrice, non posso che fare quello che ho fatto allora: ribadire di non sottovalutare mai i segnali di malessere, perché i bambini non mentono.


La vicenda delle ginnaste di Brescia non deve insegnarci semplicemente ad indignarci, dovrebbe insegnarci a non lasciare cadere la certezza che l'abuso esiste come retaggio di una cultura diffusa , mai veramente esplorata nella sua pervasività, ed esiste perché tra educazione familiare e educazione professionale non c'è poi tanta differenza, giacché la matrice patriarcale è la stessa.

Quindi attenzione a creare capri espiatori.


L' iper protezione dei nostri pargoli, l'altra sciagura educativa del nostro tempo, individua tra i pericoli un corollario di paure adulte ma curiosamente rimuove l'alert per la violenza psicologica che diventa dominio, controllo, manipolazione all'interno di una relazione che, pur essendo legittimamente asimmetrica, non deve assumere i connotati del potere come dominio su un altro essere umano. Tantomeno quando si configura come violenza istituzionale, (ciò che ha fatto il Ministro), e perciò tollerata.

Di questa rimozione, bisognerebbe forse domandarsi il perché.

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